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49° RAPPORTO CENSIS SULLA SITUAZIONE SOCIALE DEL PAESE

Cosa resta oggi del grande processo di globalizzazione vista come occidentalizzazione del mondo? Il "resto" e i processi di sviluppo reale del Paese nel 49° Rapporto Censis.

 

Giuseppe De Rita, presidente del Censis, illustrando il Rapporto annuale dell'istituto ha esposto la teoria del "resto".

"Nella nostra storia - spiega De Rita - il resto del mito della grande industria e dei settori avanzati è stata l'economia sommersa e lo sviluppo del lavoro autonomo. Il resto del mito dell'organizzazione complessa e del fordismo è stata la piccola impresa e la professionalizzazione molecolare. Il resto della lotta di classe nella grande fabbrica è stata la lunga deriva della cetomedizzazione. Il resto dell'attenzione all'egemonia della classe dirigente è stata la fungaia dei soggetti intermedi e la cultura dell'accompagnamento. Il resto del primato della metropoli è stato il localismo dei distretti e dei borghi. Il resto della spensierata stagione del consumismo (del consumo come status e della ricercatezza dei consumi) è la medietà del consumatore sobrio. Il resto della lunga stagione del primato delle ideologie è oggi l'empirismo continuato della società che evolve. E i processi di sviluppo reale del Paese qui descritti sono il resto delle tante discussioni sulla guerra degli ultimi giorni".

È la conseguenza della crisi delle tre realtà della società in crisi profonda: la rappresentanza sociale, la dialettica socio-politica e il potere statuale. In questa dinamica, il 49° rapporto afferma che tutto ciò che è considerato residuale, il "resto" rispetto ai grandi temi che occupano la comunicazione di massa, assurge alla cronaca ed è proprio dal «grande resto» che può cominciare a partire la riappropriazione della identità collettiva del nostro paese.

Nel capitolo dedicato alla Comunicazione e media si ribadisce il ruolo di "disintermediazione" che ha svolto la diffusione del digitale soprattutto nelle giovani generazioni, dove prevale il consumo mediatico dei new media. Il fenomeno è destinato ad ampliarsi, come dimostra l'aumento costante della spesa delle famiglie per l'acquisto di tecnologie di comunicazione digitali. Negli ultimi vent'anni, dal 1995 al 2014, a fronte di un incremento medio dei consumi solo del 10,2% in termini reali, la spesa per computer e accessori è aumentata del 301,4% e quella per telefoni e servizi telefonici registra un +258,6% (superando i 26,8 miliardi di euro nel 2014).

Gli italiani hanno evitato di spendere su tutto, ma non sui media connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere di disintermediazione, che ha significato anche un risparmio netto finale nel loro bilancio personale e familiare:  la disintermediazione digitale riscrive le regole dell'economia reale.

Nello stesso capitolo si parla dei ritardi della transizione digitale della Pubblica Amministrazione.

In Italia il numero di utenti di internet che interagiscono via web con gli uffici pubblici è attestato solo al 18% (media dell'Ue 33%). Tra le operazioni più frequenti figurano il pagamento delle tasse (26,3%), l'iscrizione a scuole superiori e università (21,4%), l'accesso ai circuiti bibliotecari (16,9%). Un basso tasso di utilizzo si registra, invece, nelle pratiche degli uffici anagrafici e nell'accesso al fascicolo sanitario elettronico (7,6%). Unico dato positivo: la fruizione degli sportelli pubblici online non lascia una impressione negativa nell'utenza, solo il 9,9% degli utenti si lamenta per la mancata assistenza, solo il 19,6% segnala disguidi tecnici, solo il 22,9% dichiara di aver trovato informazioni poco chiare o non aggiornate.

L'analisi dei settori proposta dal Rapporto ci parla ancora di un paese senza progettazione per il futuro ed è in questo scenario che il «resto», anche se non accede alle luci del proscenio, anima il racconto reale del Paese.

Vai al 49° Rapporto sulla situazione sociale del Paese/2015

Valenzano, 10 dicembre 2015

 


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